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Contribuenti forfettari: accertamento

Fisco e Previdenza - Fisco

Per il nuovo regime forfettario si ripropongono le considerazioni già conosciute in occasione dell’introduzione del regime dei minimi relativamente al “rischio” accertamento e alle connesse implicazioni, attesa la previsione di una disposizione sostanzialmente analoga. Oltre infatti all’evidente “fastidio” degli importi contestati, il problema ulteriore si concretizza in ordine alle conseguenze sulle annualità successive in cui magari il contribuente ha continuato ad applicare il regime agevolato. Le questioni sono diverse e peraltro non hanno mai visto un chiarimento da parte dell’Amministrazione finanziaria nel passato, riproponendosi anche nel nuovo sistema con ulteriori particolarità.

Stante al tenore letterale della disposizione, per l’accertamento, la riscossione, le sanzioni e il contenzioso, il comma 74 della Legge di Stabilità prevede l’applicazione, per quanto compatibili, delle ordinarie disposizioni in materia di imposte dirette, Iva e Irap. Inoltre è prevista, sulla falsariga di quanto avviene con gli studi di settore, una maggiorazione delle ordinarie sanzioni applicabili nel caso di infedele indicazione da parte dei contribuenti forfettari, in relazione ai requisiti e alle condizioni per l’accesso al regime; infatti, le misure delle sanzioni minime e massime stabilite sono aumentate del 10 per cento se il maggior reddito accertato supera del 10 per cento quello dichiarato. Infine il comma 74 testualmente recita: “Il regime forfetario cessa di avere applicazione dall'anno successivo a quello in cui, a seguito di accertamento divenuto definitivo, viene meno taluna delle condizioni di cui al comma 54 ovvero si verifica taluna delle fattispecie indicate al comma 57”.

In termini pratici, se a seguito di accertamento dovesse essere conclamata l’assenza di una delle condizioni di accesso (limite dei ricavi/compensi, plafond dei beni strumentali, soglia di costo del lavoro e prevalenza dell’attività svolta), o la presenza di una causa ostativa (ad esempio, la partecipazione in un soggetto trasparente), si determina lafuoriuscita dal regime nell’anno successivo.

La tematica si offre a diverse considerazioni, le principali delle quali riguardano:

  • l’effettiva fuoriuscita dal regime forfettario;
  • l’eventualità di una fuoriuscita “immediata”;
  • le modalità accertative utilizzate;
  • le conseguenze sanzionatorie.

Il primo problema si pone in riferimento al momento in cui l’accertamento si considera “definitivo”. In effetti, a voler essere rigorosi, per accertamento definitivo dovrebbe intendersi l’accertamento divenuto tale a seguito di adesione, mancata impugnazione o passaggio in giudicato della sentenza: il rischio di una simile interpretazione è che la definitività si raggiunga molto in là nel tempo e che sia interessato dalla cessazione del regime forfettario un anno, magari, non più accertabile. Ad esempio, se un contribuente accede nel regime nel 2015 e viene accertato nel 2018 per l’anno 2014 con constatazione del superamento della soglia di ricavi, tale accertamento potrebbe essere oggetto di contenzioso con passaggio in giudicato solo nel 2021. A questo punto, stante la norma, il contribuente sarebbe fuori dal sistema forfettario per il 2015, ma tale annualità non sarebbe più accertabile (il termine dell’accertamento per il 2015, infatti, scade il 31 dicembre 2020).

Le implicazioni sembrano essere due:

  • anzitutto è presumibile che per definitività dell’accertamento si intenda notifica dell’atto;
  • in secondo luogo, è altrettanto presumibile che l’Amministrazione finanziaria proceda, entro gli ordinari termini d’accertamento, a contestare le annualità successive in cui il regime forfettario non è operativo.

Ciò posto, deve chiedersi se sussiste l’ipotesi di fuoriuscita immediata dal regime.

Per quanto concerne il parametro dei ricavi/compensi, tale possibilità è totalmente scongiurata dalle scelte del Legislatore, che anche nella disposizione riferita all’accertamento non ha riprodotto le analoghe previsioni del regime dei minimi circa il superamento della fatidica soglia del 50%: ne deriva che il sistema forfettario, in relazione ai ricavi/compensi, cessa sempre l’anno successivo. Lo stesso dicasi per le ulteriori condizioni di accesso, che devono essere sempre verificate nell’anno antecedente: ad esempio, se nell’anno X dovessero essere accertati beni strumentali di importo superiore a 20 mila euro, la fuoriuscita dal regime si registra comunque nell’anno X+1.

Diverse invece appaiono le conclusioni nel caso in cui sia constatata la sussistenza di una causa di esclusione.

Al riguardo la scelta del Legislatore è stata infelice, dato che si continua ad affermare che la causa di esclusione determina la fuoriuscita dall’anno successivo. Invero, anche in occasione dei minimi, l’Amministrazione finanziaria ebbe modo di precisare che la causa di esclusione non deve coesistere all’interno del medesimo periodo d’imposta con il regime agevolato e tale conclusione appare ancora più forte nel sistema forfettario, laddove nell’illustrare la disposizione è esplicato che la causa ostativa può essere rimossa anche nello stesso periodo d’imposta prima di accedere al regime agevolato. La conclusione pacifica, dunque, è che la causa di esclusione non può coesistere con il regime forfettario: ne deriva che se a seguito di un accertamento dovesse essere conclamata la sussistenza di una causa di esclusione, si determina una fuoriuscita immediata dal sistema, che in realtà non avrebbe mai potuto essere applicato.

La fuoriuscita dal regime (sia dall’anno successivo che immediata) a seguito di accertamento porta poi ad un terzo problema da non sottovalutare: non si tratta di una uscita “meditata” e gestita, bensì di una fuoriuscita postuma con conseguenze del tutto innovative rispetto ai comportamenti assunti.

Nel regime, giusto per sintetizzare, è stato applicato il criterio di cassa e soprattutto l’Iva, di fatto, non è esistita. Inoltre il reddito ha subito una determinazione forfettaria, con assenza dei componenti negativi. Gli interrogativi sono molteplici. Ad esempio, continua ad applicarsi il regime di cassa? Come viene accertato il maggior reddito? E l’Iva? Non sono domande di poco conto, essendo sufficiente pensare alla circostanza che nel regime i costi non esistono.

Una volta determinata la necessità di applicare il regime ordinario di tassazione, è lecito chiedersi se saranno riconosciuti (come sembra pacifico) tutti i costi documentati, oltre che ripresi quelli “interrotti” (in primo luogo gli ammortamenti), così come sembrerebbero applicabili le detrazioni previste per le attività svolte. Sul fronte IVA, invece, si ritiene che in relazione ai componenti negativi sia riconoscibile la detrazione dell’imposta a credito. Ed infine, dovrebbero tornare applicabili anche gli studi di settore e i parametri. Insomma, un caos di non poco conto.

Tutto questo, peraltro, in stretta connessione all’ultima problematica: l’irrogazione delle sanzioni.

Il comma 74 sul tema è esattamente speculare a quanto era stato previsto per il regime dei minimi. Sul punto, la C.M. n.73/E/2007 ebbe modo di precisare che la maggiorazione delle sanzioni scatta anche nelle ipotesi in cui sia stato accertato il venir meno dei requisiti per continuare ad utilizzare il regime e sempre che il maggior reddito accertato superi del 10 per cento quello dichiarato: nel nuovo sistema forfettario una simile conclusione non è di scarso rilievo, posto che il superamento del 10% del reddito dichiarato potrebbe essere una conseguenza automatica dell’eliminazione del sistema forfettario. Si pensi ad un professionista: con compensi pari a 10 mila euro, il reddito è di 7.800,00 euro. In assenza di costi, il solo disconoscimento del metodo forfettario porta il reddito a 10 mila euro, con il conseguente superamento del 10% del reddito dichiarato. È evidente pertanto che le sanzioni maggiorate sono davvero dietro l’angolo.