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Redditi sotto la soglia di povertà: legittimo l’accertamento induttivo

Fisco e Previdenza - Fisco

L’anomala situazione commerciale giustifica la rettifica sulla base di sole presunzioni semplici, con conseguente inversione dell’onere della prova a carico del contribuente

In mancanza di idonea documentazione probatoria, l’irragionevolezza economica del comportamento del contribuente/imprenditore che affermi, per più anni, di aver chiuso l’esercizio in perdita o di avere sostenuto costi sproporzionati ai ricavi, rappresenta un comportamento commerciale anomalo, contrastante con il principio di ragionevolezza, non essendo conforme a logica e esperienza impostare o proseguire l’attività secondo criteri antieconomici o poco vantaggiosi, se non addirittura dannosi.

 

In presenza di tali elementi, quindi, l’Amministrazione finanziaria è autorizzata a presumere che il contribuente abbia, in realtà, prodotto più redditi di quelli dichiarati e a recuperare, in via induttiva, le relative imposte, a nulla rilevando la circostanza che le scritture contabili siano state regolarmente tenute.
Così si è espressa la Cassazione nella sentenza n. 24313 del 14 novembre, che ha respinto il ricorso proposto da un contribuente avverso la sentenza di appello con cui la Commissione tributaria regionale di Napoli aveva confermato l’accertamento induttivo emesso dall’ufficio finanziario.

In particolare – a seguito di accesso dal quale erano emerse anomalie contabili/economiche – l’Amministrazione finanziaria recuperava a tassazione il maggior reddito rilevato per l’applicazione di una più alta percentuale di ricarico rispetto a quella desumibile dai dati dichiarati dal contribuente e risultante dalla contabilità.
Nel ricorso di legittimità, il contribuente lamenta la violazione dell’articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973, atteso che la sentenza di appello non offre nessun riscontro circa l’inattendibilità delle scritture contabili, trascurando, di contro, che nessuna anomalia era stata rilevata dal controllo di cassa e che talune presunte discrasie (indice di rotazione del magazzino, indice di produttività per addetto, eccetera) non potevano giustificare, da sole, un accertamento basato unicamente su medie di settore, non costituenti presunzioni gravi, precise e concordanti di ricavi maggiori rispetto a quelli dichiarati, come richiesto dalla norma.

Per i giudici di piazza Cavour la doglianza è infondata.

Infatti, la circostanza che un imprenditore dichiari un reddito inferiore alla soglia Istat di povertà assoluta, è indice di “…una situazione commerciale anomala, di per sé sufficiente a giustificare da parte dell’erario una rettifica della dichiarazione fiscale, ai sensi dell’art. 39 cit,, a meno che il contribuente non dimostri concretamente l’effettiva sussistenza di un operare quasi in perdita (Cass. 21536/2007)”.
In questa ipotesi, continuano i giudici di legittimità, l’ufficio finanziario è legittimato a desumere, sulla base di sole presunzioni semplici, maggiori ricavi, con conseguente inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, atteso che, per giurisprudenza consolidata, ricorre l’ipotesi di contabilità inattendibile per comportamenti economicamente ingiustificati ogni volta che si rilevino esiti antieconomici, non ragionevoli e contrari ai canoni imprenditoriali (Cassazione, sentenze 23635/2008, 18875/2007, 26130/2007).

Inoltre, l’articolo 39 del Dpr 600/1973 non impedisce, in presenza di contabilità formalmente regolare, l’accertamento in rettifica, che presuppone appunto scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che possono essere costituite anche da studi di settore collegabili a gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati (Cassazione, sentenza 26919/2006).

Sulla base di tali argomentazioni, la Cassazione conclude per la correttezza della sentenza impugnata, in considerazione del fatto che, nel caso di specie, gli elementi emersi in corso di verifica (rotazione del magazzino, produttività per addetto, percentuale di ricarico incoerente), unitamente all’irrisorietà assoluta dei redditi dichiarati e all’obiettività del costo del venduto (rilevato in contraddittorio dalla fatture d’acquisto), sono indici rivelatori di maggiore capacità contributiva rispetto a quella risultante dalla documentazione contabile e fiscale.



Osservazioni
La sentenza in commento si inquadra in quel filone giurisprudenziale relativo alla legittimità dell’accertamento analitico/induttivo – così come delineato dall’articolo 39, comma 1, lettera d), Dpr 600/1973 – con l’obiettivo di conciliare, da un lato, il superamento dello sbarramento all’induzione, costituito dalla corretta tenuta delle scritture contabili e dalla necessità di presunzioni gravi, precise e concordanti, e, dall’altro, la tutela del contribuente e dell’effettività della capacità contributiva.
In sostanza, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente e consolidato, l’accertamento induttivo a fronte di regolare tenuta dei documenti contabili è legittimo, non solo, in presenza di altri convergenti elementi di giudizio (come nel caso della sentenza in commento), ma anche quando, dalla disamina complessiva della situazione reddituale del contribuente, traspaiano elementi che lasciano intendere l’antieconomicità, sic et sempliciter, del comportamento da esso tenuto (Cassazione, sentenze 12167/2014, 21185/2014).

In altri termini, il comportamento dell’imprenditore, reiterato nel tempo, giusta il quale si conseguono risultati economici negativi e una divaricazione costante fra oneri e ricavi, costituisce un contegno anomalo in regime di libero mercato, sufficiente a giustificare la determinazione induttiva del reddito imponibile (Cassazione, sentenza 26167/2011).
Pertanto, a fronte di scelte che appaiono ispirate a finalità antieconomiche o non sorrette da trasparenti motivazioni, l’erario ha titolo per operare una valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, anche se non ricorrono irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio d’impresa.

In tal caso, il contribuente non può opporsi invocando solamente la correttezza delle scritture contabili, ma è tenuto a contestare punto su punto la nuova ricostruzione della materia imponibile effettuata dall’ufficio (Cassazione, sentenza 1839/2014).

 

 

 

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