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Lo squilibrio fra costi e ricavi legittima il sequestro sui beni
Fisco e Previdenza - Fisco |
La contabilizzazione di spese eccessive e sproporzionate rispetto al volume di affari della società, apre le porte all’accertamento induttivo per infedele dichiarazione.
La società che contabilizza e deduce fiscalmente costi per carburante in misura sproporzionata rispetto all’ammontare delle relative prestazioni è passibile del reato di infedele dichiarazione finalizzata all’evasione fiscale.
Ne deriva che è legittimo il provvedimento di sequestro per equivalente sui beni mobili e immobili di proprietà del legale rappresentante della società e ciò anche senza la preventiva escussione del patrimonio dell’ente.
Così ha stabilito la sezione penale della Corte di cassazione con la sentenza n. 36050 del 20 settembre.
La decisione
Il ricorso introduttivo è stato proposto dal rappresentante legale di una società avverso la sentenza del tribunale territorialmente competente che disponeva il sequestro “per equivalente” di beni mobili e immobili di sua proprietà.
Il sequestro era stato disposto nella misura corrispondente all’importo correlato al delitto di cui all’articolo 4 del Dlgs 74/2000 contestato in capo alla società a seguito di una verifica della Guardia di finanza, per la presentazione infedele delle dichiarazioni ai fini delle imposte dirette e dell’Iva.
La rettifica traeva origine dallo squilibrio eccessivo e ingiustificato tra i costi per consumo di carburante contabilizzati dalla società e le relative prestazioni fatturate.
Sull’istanza di riesame proposta dall’indagato, il tribunale di secondo grado confermava con ordinanza il provvedimento di sequestro.
Contro l’ordinanza, la società proponeva ricorso per cassazione eccependo come motivo principale la non configurabilità del fumus del reato, che sarebbe stato riconnesso solo all’accertamento, definito empirico e approssimativo, della Guardia di finanza e fondato su criteri induttivi non corretti.
In aggiunta, l’indagato lamentava che il sequestro disposto ai propri danni fosse illegittimo in quanto era la sola persona giuridica, di cui questi era rappresentante legale, a trarre profitto dall’ipotetico illecito.
A seguito dell’esame del ricorso, la Corte di cassazione ha proceduto al suo rigetto per infondatezza dei motivi.
La pronuncia in commento presenta due aspetti di particolare interesse.
Il primo attiene le questioni di merito della controversia che, seppur non trattate specificamente in sede di legittimità, hanno ricevuto il consenso dei giudici della Suprema corte.
La contestazione levata dai verificatori della Guardia di finanza aveva per oggetto l’infedele dichiarazione presentata dalla società, a cui l’organo di controllo era pervenuto induttivamente sulla base del notevole squilibrio riscontrato nella contabilità tra costi e ricavi.
In particolare, dalle indagini era emerso un sensibile squilibrio tra i costi per consumo di carburante contabilizzati e dedotti nel periodo d’imposta e le correlate prestazioni costituenti operazioni imponibili.
Siffatta circostanza aveva indotto l’organo verificatore a rettificare il reddito imponibile ai fini delle imposte dirette e dell’Iva e, di conseguenza, a ritenere infedele la dichiarazione presentata dalla società e a ravvisare in capo al legale rappresentante il reato di cui all’articolo 4 del Dlgs 74/2000.
A fronte degli elementi emersi nel corso del giudizio, contro cui il ricorrente non aveva opposto validi argomenti di confutazione, in tutti i gradi era stata ritenuta attendibile la configurabilità del fumus del reato.
Se ne deve dedurre, pertanto, il principio per cui la contabilizzazione di costi (nel caso di specie per consumo di carburante) in misura eccessiva e sproporzionata rispetto al volume di affari a essi correlati, legittima l’accertamento induttivo delle dichiarazioni ed espone il responsabile, al verificarsi delle condizioni previste dal legislatore penale, al reato di infedele dichiarazione finalizzato all’evasione d’imposta ex articolo 4 del Dlgs 74/2000.
Nel respingere il ricorso, i giudici di legittimità si sono espressi, altresì, sulla legittimità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, la cui applicabilità ai reati di natura penal-tributaria è stata introdotta con la Finanziaria per il 2008.
Al riguardo la Corte, ricalcando un orientamento giurisprudenziale oramai consolidato, ha ribadito in primo luogo che, in tema di reati commessi nell’interesse della persona giuridica, “il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente sui beni della persona fisica non richiede, per la sua legittimità, la preventiva escussione del patrimonio dell’ente”.
A tale principio la Cassazione ha apportato un ulteriore contributo interpretativo, chiarendo che la confisca per equivalente può riguardare anche beni che non hanno alcun collegamento diretto con il singolo reato.
La motivazione di tale pronuncia è da ricercarsi nella ratio della misura cautelare, che è quella di privare il responsabile “di un qualunque beneficio economico derivante dall’attività criminosa anche di fronte all’impossibilità di aggredire l’oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale strumento, che assume i tratti distintivi di una vera e propria sanzione”.
Emiliano Marvulli
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