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Finta vendita post cartella

Fisco e Previdenza - Fisco

Il reato è a prova di amicizia

Affermare che l’operazione serviva ad aiutare l’acquirente a ottenere un mutuo non basta a evitare la condanna per sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte
Risponde del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, previsto dall’articolo 11 del Dlgs 74/2000, il contribuente che simula l’alienazione di un immobile, dopo aver ricevuto la notificazione di una cartella di pagamento, non essendo sufficiente il sostenere di averlo fatto per aiutare il simulato acquirente a ottenere un finanziamento da parte di un Istituto di credito.

Questo il principio affermato dalla terza sezione penale della Cassazione, nella breve, ma interessante, pronuncia n. 28567 del 17 luglio 2012.

La normativa di riferimento

 

Il vigente articolo 11, comma 1, del Dlgs n. 74 del 2000, punisce, con la reclusione da sei mesi a quattro anni, chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a tali imposte, di ammontare complessivo superiore a 50mila euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva.
Se l’ammontare delle imposte, sanzioni e interessi è superiore a 200mila euro si applica la reclusione da un anno a sei anni.

Sotto il profilo materiale, la norma prevede, da un lato, un’ipotesi di comportamento vietato – l’alienazione simulata di beni del contribuente - dall’altro, con una tipica clausola di chiusura, un richiamo generico alla commissione di “atti fraudolenti”, intendendosi per tali sia i comportamenti meramente omissivi sia le attività materiali di occultamento di beni.

Al riguardo, la Cassazione, sulla base di un orientamento giurisprudenziale consolidato (sentenze n. 36290 del 2011, n. 14720 del 2008, n. 7916 del 2007, n. 17071 del 2006), ritiene che la questa fattispecie di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte sia diversa rispetto all’omologa, oggi abrogata, di cui all’articolo 97 del Dpr n. 602 del 1973, in quanto - a fronte della identità sia dell’elemento soggettivo costituito dal fine di evasione ed integrante il dolo specifico, sia della condotta materiale rappresentata dall’attività fraudolenta - la nuova fattispecie, da un lato, non richiede che l’Amministrazione tributaria abbia già compiuto un’attività di verifica, accertamento o iscrizione a ruolo e, dall’altro, non richiede l’evento che, nella previgente previsione, era essenziale ai fini della configurabilità del reato, ossia la sussistenza di una procedura di riscossione in atto e la effettiva vanificazione della riscossione tributaria coattiva.

Secondo la Cassazione, la nuova fattispecie delittuosa costituisce reato “di pericolo” e non più “di danno” e l’esecuzione esattoriale, quindi, non configura un presupposto della condotta illecita, ma è prevista solo come evenienza futura che la condotta tende (e deve essere idonea) a neutralizzare.
Ai fini della perfezione del delitto, pertanto, è sufficiente la semplice idoneità della condotta a rendere inefficace (anche parzialmente) la procedura di riscossione - idoneità da valutare con giudizio ex ante - e non anche l’effettiva verificazione di tale evento.

I fatti di causa

La Corte di Appello piemontese, nel confermare la pronuncia del Tribunale di Torino, aveva dichiarato colpevole del reato di cui al richiamato articolo 11 del Dlgs 74/2000, un contribuente che, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte erariali iscritte a ruolo, scadute e non pagate, per l’importo di oltre 100mila euro, aveva alienato simulatamene a un terzo la proprietà di un suo immobile.
La sentenza appellata riteneva sussistere gli elementi oggettivo e soggettivo della fattispecie criminosa de qua.

Con riguardo all’elemento oggettivo, i giudici di primo grado hanno osservato che, ai fini della configurabilità del reato, non è necessario che al momento dell’alienazione fraudolenta di beni sia in atto una esecuzione coattiva tributaria, essendo sufficiente la notifica di cartelle esattoriali esecutive, che nel caso in esame era avvenuta prima della stipula del rogito, per un importo superiore alla soglia di punibilità prevista dalla norma penale.

Con riferimento all’elemento soggettivo, invece, i giudici del Tribunale hanno precisato che la simulazione del trasferimento della proprietà dell’immobile risultava, oltre che da una serie di elementi indiziari, dalle dichiarazioni dello stesso simulato acquirente.
A tal riguardo, la giustificazione attribuita da quest’ultimo all’acquisto fittizio non poteva ritenersi attendibile, mentre la reale finalità perseguita dal contribuente era quella di sottrarre il bene immobile alle pretese del fisco, delle quali l’imputato era pienamente a conoscenza prima della stipula dell’atto notarile.

Il contribuente proponeva ricorso in Cassazione, eccependo l’errata applicazione dell’articolo 11 del Dlgs n. 74 del 2000, con riferimento all’elemento soggettivo del reato di frode sottrattiva.
La difesa del contribuente sosteneva che, per la configurabilità del reato, non fosse sufficiente l’elemento oggettivo della simulazione dell’alienazione di beni, essendo necessario che detta simulazione fosse stata posta in essere al fine specifico di sottrarre i beni alla procedura di riscossione coattiva di imposte.
Nel caso in esame, invece, il terzo simulato acquirente aveva giustificato il simulato acquisto dell’immobile del contribuente con la sola finalità di offrire maggiori garanzie alla banca, come richiesto da quest’ultima, in previsione dell’ottenimento di un mutuo per un acquisto immobiliare che lo stesso terzo doveva effettuare.

Il contribuente, con il quale si erano instaurati da qualche anno rapporti di amicizia, aveva acconsentito a porre in essere a tale scopo la vendita simulata, con l’unico dichiarato obiettivo, quindi, di far ottenere un mutuo al simulato acquirente (come risultava dalle dichiarazioni dello stesso rese nel processo).
Tale comportamento avrebbe escluso l’esistenza del dolo specifico in capo al contribuente, come richiesto, invece, dalla norma incriminatrice.

La difesa dell’imputato concludeva poi ricordando che il debito tributario del contribuente era sorto (e quindi noto a quest’ultimo) prima dell’acquisto dell’immobile da parte dello stesso imputato, cosicché egli stesso, se avesse voluto sottrarre i suoi beni ad un’eventuale esecuzione erariale, non avrebbe di certo acquistato l’immobile.

La decisione della Corte

Per la Cassazione il ricorso è infondato e non merita accoglimento.

Le censure del ricorrente, secondo i giudici di legittimità, “…si esauriscono nella prospettazione di una ricostruzione alternativa delle ragioni che avrebbero giustificato la simulata alienazione dell’appartamento, ritenuta del tutto inattendibile dai giudici di merito con motivazione esaustiva ed immune da vizi logici”.

Anche sul punto del dolo specifico - richiesto per la configurazione della fattispecie criminosa in esame - “…la contestazione del ricorrente si esaurisce nella mera prospettazione della diversa causale che avrebbe giustificato la simulata alienazione, con la conseguente richiesta di un accertamento di merito sul punto, inammissibile in sede di legittimità”.

La stessa linea difensiva prospettata dal contribuente, peraltro, avrebbe potuto formare oggetto di dimostrazione nella sede di merito, riferendosi a un acquisto immobiliare che sarebbe stato posto in essere dal terzo utilizzando come garanzia l’immobile simulatamene acquistato dall’imputato (acquisto non dimostrato).

Infine, la sentenza appellata “…ha affermato che, ai fini del perfezionamento del reato, non è richiesta la sussistenza di una procedura di riscossione in atto, trattandosi di reato di pericolo…”. 

a cura di

                                                              Marco Denaro


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