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SENSI DI COLPA E AUTOLESIONISMO

Comunicazione - Comunicazioni

SOFFRIRE PER ESPIARE UNA PENA CHE NON CI APPARTIENE

                                                                                            Dedicata a TE
 
La Vita non è sempre così come sembra dall’esterno della corazza che quotidianamente indossiamo per affrontare i nostri fantasmi.
Al proprio interno la Vita appare come una lastra di marmo, piena di venature, di piccole striature più o meno colorate pronte a lasciar cadere gocce di gioia e di dolore, semi di un passato che porteremo dentro di noi per sempre.

                                                                                                  Italo E.D.N.

Chris Mc Candless rappresenta per me il Vero senso della Libertà a qualsiasi costo.

http://www.youtube.com/watch?feature=endscreen&v=VDRy6fmcSzA&NR=1

Il senso di colpa è una emozione che permette di contenere le pulsioni distruttive e di prendere coscienza della sofferenza dell'altro.

Il senso di colpa, sperimentato spesso da ogni persona sensibile e responsabile, è un meccanismo della coscienza che, se non è deformato, segnala un disagio e ci rimprovera quando facciamo qualcosa che infrange il nostro codice morale, perseguitandoci fino a quando non ci attiviamo per rimediare con un gesto riparatore.

Cercare di "evitare" il senso di colpa, significa comportarsi in modo da evitare di fare del male ad un'altra persona. Il senso di colpa è una reazione naturale ad una nostra azione cattiva, illecita, crudele o disonesta: una volta riconosciute le proprie responsabilità e prese le misure correttive, il campanello d'allarme della mente ha terminato la sua funzione.
Tuttavia può succedere che la colpa non sia collegata ad un atto specifico, ma nasca da un senso di inadeguatezza non compreso, da un senso di incapacità, di malessere non chiaro, può cioè scaturire da scenari più profondi della nostra interiorità, non necessariamente associati all'esperienza di vita pratica, trasformandosi in un'angoscia legata alla convinzione di essere inadeguati, inferiori, incapaci di essere amati e apprezzati.

Per lo psicoanalista il senso di colpa invece ha a che fare con la nostra storia personale, con le esperienze di vita fatte fin dall'infanzia.

Il sentimento di colpevolezza nasce dal nostro "giudice interiore" che ci mette di fronte agli insegnamenti che abbiamo ricevuto dai nostri genitori, dalla religione e dalla regole sociali, come se si dovesse pagare un prezzo in termini di sofferenza interiore per avere osato desiderare qualcosa di vietato. Infatti basta solo aver pensato di violare una "regola" per vivere una sensazione di disagio, per non sentirsi più la coscienza pulita. Il bambino impara molto presto a sentirsi in colpa per non aver soddisfatto le aspettative degli altri e spesso quando è spettatore di un divorzio, di una malattia o di una sofferenza dei genitori, si convince di essere responsabile, come se effettivamente tutto ciò che è doloroso o "negativo" fosse, per qualche ragione, colpa sua.

Il sentimento di colpevolezza può celare un senso di onnipotenza ("è tutta colpa mia!"), una specie di volontà di controllo sugli altri e su ciò che si vive, un meccanismo perverso che ci costringe a vivere nella dipendenza, lasciando agli altri il potere di liberarci.
La maggior parte delle persone che si sentono "colpevoli" soffrono, in qualche modo la paura dell'abbandono, il timore di perdere un amore o l'approvazione degli altri.
Il sentimento di colpevolezza infatti induce ad adottare una certa condotta in funzione della fedeltà al gruppo di riferimento, al di fuori del quale ci si sentirebbe persi. La possibilità di fare una scelta fuori dal coro spaventa, è forte la tentazione di rimanere fedeli al gruppo rinunciando a se stessi e alla propria vera identità.
Crescere vuol dire anche liberarsi dai condizionamenti e dalla paura di infrangere imposizioni e regole, adottando un comportamento rispettoso verso il gruppo, ma senza rinunciare a sé.
                                                                      Dott.ssa Mariacandida Mazzilli

 

E qui di seguito desidero riportare parte di un saggio del Prof. Nazzareno Venturi, che si occupa nello specifico dei sensi di colpa.

Sappiamo che a livello somatico con la trasmissione genetica si ereditano anche malattie, e che gli errori di vita del genitore peseranno sulla vita del nascituro.

Così a livello psicologico gli sbagli educativi, precipuamente nella violenza a cui spesso si accompagnano,  vengono ritrasmessi generazione dopo generazione.
Soltanto che invece di sentirsi in colpa "il padre" è il "figlio" a doversi inconsciamente prendere carico delle colpe dei genitori. A questo conduce  la "pressione "esteropsichica”, ossia il modello morale comune, che vede il bambino come un oggetto ribelle da educare e tende a giustificare il genitore ed i suoi mezzi repressivi ( punizioni, sberle, sculacciate, prediche, minacce etc.).  E’ una realtà scomoda, difficile da accettare in quanto significherebbe risollevare in sé una realtà di sofferenza.

Alice Miller cita ( l'infanzia rimossa) certe sentenze contro reati di stupro e violenza fisica sul figlio  concluse con l'assoluzione del genitore o per via di attenuanti o semplicemente negando credibilità al minore. Il genitore diventa  un poveretto continuamente provocato dal comportamento del bambino/a,  in situazioni socio-economiche difficili,  con un carico di problemi personali ...Come non giustificarlo?
E del  bambino ci si dimentica: come non lo hanno difeso i genitori così non lo difende una società composta da adulti che hanno rimosso le loro angosce ed i traumi subiti nell'infanzia  idealizzando e perdonando ogni cosa al genitore. Quel genitore stupratore "perdonato" è lo specchio del "proprio". L'altro punto di vista, quello del bambino, non ha diritto di esistere , quanto ha subito, non può essere rivendicato… E' il bambino che deve sentirsi in colpa non il genitore! (Questo non significa escludere, poiché diverse volte è stato comprovato, che è il minore a ricostruire scenari immaginari vuoi in buona fede vuoi per altri motivi).

Come nasca il senso di colpa non è un mistero. L'introiezione delle norme assunte nell'infanzia dai genitori e dall'ambiente esterno, costruisce un modello comportamentale psichico di valori su quel che è bene o male fare. Un evidente disagio emotivo si manifesta nell'individuo quando  cerca di comportarsi diversamente dal proprio modello. A livello inconscio esso avverte che qualcosa non va, che ha trasgredito delle regole, che è andato contro dei tabù. La paura della punizione gli ritorna nella vita, anche se i suoi genitori sono morti e la società è indifferente a quello che ha fatto. Naturalmente il timore sarà più forte se l'ambiente esterno condivide il suo modello. Viceversa se esso si adegua alla norma interna/esterna si sentirà gratificato, "a posto" con la coscienza.

Un esempio documentativo ci aiuterà a capire.

Una ragazza africana non accetta di essere infibulata (recisione della clitoride e cucitura della vagina) come vuole la tradizione del clan: ha paura, qualcosa in lei si ribella contro quanto si è sempre fatto, e solo per questo viene considerato cosa buona e giusta da ripetere in futuro. La parentela femminile cerca di indottrinarla sulla sacralità della cerimonia. Queste donne si sentono a posto con la coscienza, hanno rimosso il terrore avvertito da ragazzine  anche attraverso la giustificazione dell’evento traumatico  come un sacrificio dovuto alla conservazione di un valore collettivo. La ragazza viene quindi minacciata: se il rito non viene compiuto il gruppo la allontanerebbe come ignobile ed impura. Infine gli si chiude ogni alternativa: con le buone o le cattive, quel che si deve fare sarà fatto, indipendentemente dal consenso di lei.

Solo la madre sembra capire la figlia ma ha paura di andar contro il gruppo:  non ha rimosso completamente le pene subite quando aveva l'età della figlia, ricorda l' angoscia che provava in quei momenti e avverte  l'assurdità della norma, ma nonostante questo accenno di adulta consapevolezza, finisce per sottomettersi ad essa. Teme di essere   anormale, pazza e prova rimorso dei suoi stessi pensieri. Poiché l'ambiguità dei sentimenti continua a confonderla e la paura di infrangere un tabù con tutte le conseguenze che comporterebbe è troppo forte, lascia la figlia al suo destino. Come lei non è stata protetta da sua madre così non proteggerà la figlia. Non  sentirà nessun senso di colpa verso la figlia, poiché la genitorialità non va trasgredita ed è lei a dettare la bontà o meno di certi sentimenti. La sacra tradizione continuerà.

Il senso di colpa è avvertito quando si mette in discussione o si contrastano i modelli genitoriali per quanto ingiusti e portatori di disagi.
Per evitare la sofferenza di questo stato, scatta il meccanismo della rimozione, della giustificazione: tutto quanto si è subito dall'ambiente e dai genitori è in fondo giusto, e la colpa dei conflitti è propria.
Sigmund Freud inizialmente aveva capito che le nevrosi e le psicosi sono il prodotto dei traumi del passato infantile, ma in un secondo tempo, ha finito per rimuovere il suo vissuto e sublimarlo, intellettualizzandolo, con  teorie che nascono dal  rifiuto di una realtà per lui insopportabile. In poche parole anche Freud non  è riuscito a risolvere il ricatto genitoriale (se si mette in discussione il modello genitoriale ci si sente esclusi). Risultato è la giustificazione del passato: se il genitore reagisce violentemente è in risposta alle pulsioni aggressive ed "indisciplinate" del bambino. L'esperienza e un'osservazione disincantata, afferma il contrario: è  il bambino che impara la violenza dal genitore e comincia a rispondere con essa. Apprenderà anche che il risentimento provocato dalle punizioni deve essere trattenuto e rimosso. Il genitore può essere violento, ma lui no. Se risponde con altrettanta violenza verso il genitore è punito ancor di più per cui è costretto a non manifestare odio, ad "ingoiare" senza reagire. Ma questa carica negativa si accumula dentro di lui pronta a sfogarsi su un innocente, anziché sul responsabile:  è un circuito senza soluzione, più violenza si rovescerà su di lui, più sarà distruttivo richiamando su di sé altra violenza... la accumulerà per poi sfogarla nei modi più disparati "dimenticando" l'oggetto vero del suo risentimento, quel genitore da cui non ha avuto amore e comprensione ma prepotenza spacciata per educazione. In questo modo si addossano  al bambino le colpe dei genitori.

Certi sentimenti negativi sono attribuiti al bambino quando invece sono del genitore. Come al solito tutto nasce dall’ignoranza e dalla errata interpretazione. Chi non ha notato l’infante nel box prendere un oggetto e scagliarlo a terra?  In questo modo egli valuta pesi e distanze secondo uno spontaneo processo acquisitivo. O svolto con giocosità o seriamente l'esercizio è per lui importante . Poniamo che il genitore abbia interpretato il gesto  maliziosamente come un capriccio e punito il figlio con una sculacciata. Due sono le reazioni possibili: il bambino rilancia l'oggetto recuperato dal genitore con rabbia oppure risponde all'aggressività piangendo. In entrambi i casi ha "registrato"   una cattiveria non sua. In altri termini gli impulsi distruttivi sono sollecitati dall'ambiente.  Dall’osservazione antropologica risulta che le tribù possono essere pacifiche o meno solo per la variabile culturale, per l'educazione insomma. Freud costruirà un modello irrealistico affermando che, in genere, sono i bambini  ad   inventarsi gli abusi subiti, a costringere i genitori alla violenza per via della loro aggressività innata. In questo modo il processo di idealizzazione dei genitori e della società rimane immacolato, meglio rimuovere la realtà piuttosto di toccare il modello. Questo è il grave limite della psicoanalisi freudiana. Il bambino va preso sul serio, quel che cerca di comunicare, le sue rivendicazioni, i suoi bisogni affettivi ed intellettuali non possono rimanere inascoltati. Troppi sono gli adulti che portano in sé un bambino frustrato, bloccato dai sensi di colpa, e per questo non prendono seriamente le esigenze del proprio inconscio, né quelle del prossimo. Si può spezzare questa catena riconoscendo in sé quell'infanzia patita, mai comunicata a nessuno.

Si affermava fino a non molto tempo fa che Freud fosse  "rivoluzionario" per la sua epoca, soprattutto in riferimento  al fatto che l'avrebbe sconvolta con la sua teoria delle pulsioni:  il bambino non è un innocente bambolotto, ma ha pulsioni libidiche ed incestuose.  Come ogni essere vivente, anche il "cucciolo d'uomo" sin dall'inizio cerca il piacere, è naturale, ma perchè proiettare in lui quelle malizie che sono tipiche dei “grandi”?  In realtà Freud ha  salvato il modello genitoriale, il perbenismo rigido dell'epoca proiettando le sue negatività nel bambino. In questo modo ha limitato la criticità adulta e salvaguardato  la forma sociale anche negli aspetti deleteri, come la mamma della bambina africana di cui si era parlato.

Il valore psicoanalitico del "guardarsi dentro" non può non tener conto dell’ingerenza del modello di chi fa questa ricerca, esso impedisce realmente di rivivere oggettivamente il proprio vissuto infantile. Questo perché il senso di colpa "viene educato"  nel  bambino verso i genitori, verso la società per poterla mantenere idealizzata. Il bambino è costretto dal modello a inventare delle ragioni per sentirsi in colpa. Anche nel caso delle confessioni di criminali vittime di abusi nell'infanzia ( ma tutti i criminali, consapevoli o no, hanno subito soprusi) si nota che finiscono per giustificare questa violenza, affermando di essersela meritata, ed anche quando evitano di giustificarla, ne parlano senza coinvolgimento emotivo poiché hanno paura di rivivere i traumi, di sfondare il blocco psichico.  Così rimossa la carica di aggressività verso i genitori essa può venire canalizzata verso gli altri con conseguenze criminali. Il feticcio genitoriale rimane intoccabile. Solo se la violenza subita viene rivissuta si ha la catarsi, il risentimento (che non poteva essere manifestato per paura di un'ulteriore punizione) e le paura  verso i veri responsabili devono tornare alla luce, altrimenti questa paura e quest'odio rimangono come mine vaganti nella propria esistenza pronte ad esplodere su oggetti ignari.

Psichiatri e psicologi,  loro malgrado, possono dunque diventare elementi di conservazione sociale. Un atteggiamento pregiudiziale, moralistico, da parte di chi dovrebbe esserne libero, finisce per diventare garante di modelli genitoriali stabiliti. Ci sono ruoli come quello dell'insegnante, dell'avvocato, del giudice , del medico o dello psicologo che tendono a farsi portavoce delle aspettative sociali. La cultura,  precipuamente nell'insegnamento e nella scienza, se è autentica ricerca la verità, l'oggettività indipendentemente dalle ideologie e dai paradigmi sociali: ciò presuppone che i professionisti siano psicologicamente liberi, che abbiano risolto i legami genitoriali dell'infanzia, altrimenti li riprodurranno . Chi si è modellato passivamente sul genitore si lascerà modellare dal sociale, chi viceversa è stato un "ribelle" sarà un “Bastian contrario” di nessuna utilità. L'io di ambedue non è equilibrato dall’adulto ma dipendente dalla genitorialità.

I ruoli che indossano una veste  genitoriale (l'autorità: l’insegnante, il medico, il giudice, il vigile…)  sono svolti da persone con un proprio io infantile e con un proprio modello genitoriale che condizionerà i rapporti interpersonali. Un vigile con un padre tollerante tenderà ad essere meno fiscale, viceversa se puntiglioso. Inoltre in tali ruoli si tende a traslare il proprio io infantile all'allievo , al paziente etc. con aspettative diverse. Dall'altra parte la tendenza è quella di traslare l’atteggiamento avuto col proprio genitore su queste figure che lo richiamano, ed ecco gli indisciplinati a oltranza nelle scuole, i ribelli a qualsiasi forma di autorità o i “1ecchini”per tutti i gusti. Questi rapporti medico/paziente , cliente/avvocato, insegnante/allievo eccetera dovrebbero in realtà essere gestiti dall’adulto essendoci una domanda ed un'offerta, una prestazione e la ricerca dei mezzi per conseguire un obiettivo.

Un tempo i genitori mandavano dal prete il figlio per convincerlo a " fare il bravo" ed oggi si sta verificando qualcosa di simile in modo "laico". Ricordo una ragazza diciassettenne la quale mi confidò che i suoi l'avevano mandata da uno psicologo di  fiducia   per correggere il suo comportamento ribelle. Lei aveva tentato di spiegare cosa succedeva in casa, ma le risposte erano quelle di capire i genitori, di accettare la situazione etc. Anziché trovare un confidente capace di accettarla totalmente, un "complice"  sincero dei suoi segreti, ha trovato in lui un prolungamento dei suoi genitori, una figura del tutto inultile ai suoi bisogni, del resto, concludeva: "Lo pagavano i miei genitori ed andavano da lui ad informarsi sull'andamento della terapia". Poi con gli occhi gonfi mi disse che già da quando aveva quattro  anni doveva pulire i piatti e che una volta è stata picchiata perché aveva rotto un bicchiere:"...ma facevo così fatica ad arrivare al lavabo !"   Quest'episodio era stato liquidato col classico: "Bisogna capire che lo hanno fatto per il tuo bene"; così le minacce, le prediche del tipo: "Ai miei tempi dovevo sempre aiutare in casa", venivano risolte con una sacerdotale assoluzione dei genitori e con la penitenza di un rinforzo di  senso di colpa. Lei cercava di liberarsi, di realizzarsi, sperava di trovare un adulto, un compagno che la capisse e sentisse il suo dramma ma trovava un'altro genitore da assecondare tanto per fargli piacere... e non poteva fare altro. Non pochi genitori mettono al mondo i figli solo per sfogargli addosso la rabbia che avevano dovuto ingoiare da piccoli.

Tutto ciò può essere stato fatto in buona fede sia dai genitori sia dagli "psicologi educatori" , ma con la buona fede e le buone intenzioni, a volte,  si sono distrutte delle vite umane.

Ancor oggi è presente una pedagogia nera che, anziché aiutare il bambino a realizzarsi, a liberarsi, ad essere indipendente coi suoi sentimenti e pensieri, gli vuole inculcare un comportamento, dei modelli. E' evidente che l'individuo nella società trova norme a cui deve adeguarsi (dal non passare col semaforo rosso, al non far chiasso negli ospedali), ma se esse sono apprese ragionevolmente  e con positiva criticità  diventeranno per lui delle coordinate flessibili alla realtà, di cui sarà partecipe in modo intelligente, altrimenti se vissute in modo coercitivo, saranno motivo di rigidità o di ribellione ad esse per tutta la vita ( non ci sono forse automobilisti "pirati" che si divertono ad infrangere ogni codice stradale?). Dovere del genitore è spiegare, mostrare le cose in modo che il bambino comprenda la loro utilità ed il loro senso. Se c'è inoltre un canale sotterraneo di simpatia e di amore, egli non avrà difficoltà a capire ed ad adeguarsi alle giuste convenzioni. Il resto lo farà il senso di imitazione quando c'è coerenza tra il dire ed il fare del genitore. 

Se in casa i genitori bestemmiano e usano parolacce non servono a nulla le spiegazioni sulla sconvenienza di questo linguaggio, il giovine recepirà che da grande potrà farlo anche lui o comunque lo farà in loro assenza. Anche questa violenza verbale è "appresa" in famiglia, mentre se è assente inciderà ben poco quella incontrata sullo schermo televisivo o fuori casa, non c’è ragione per identificarsi in essa, poiché non è "famigliare".

La pedagogia nera è quella che giustifica il genitore quando intimorisce i figli per ottenere quanto vuole da loro, vuoi con le botte vuoi con le minacce : "Se ti comporti così non ti voglio più bene" , "Ti manderò in collegio ed allora avrai finito di darmi dei problemi","Finché non chiederai scusa non ti parlo "...Tutti modi per far sentire in colpa il bambino.

Se si avesse la forza di rivivere in sé lo stato emotivo che si provava sentendo queste cose non si riprodurrebbero più, l’abreazione è necessaria, diversamente l'angoscia  rimane inconscia, negli incubi ma  pronta a trasferirsi su altri. ( IO HO LA FORZA DI RIVIVERLO, MA NON HO LA FORZA DI CONTINUARE A SOPPORTARLO! ).

In natura solo l'uomo può mantenere paura verso i genitori per tutta la vita. La loro presenza viene idealizzata, ad essi si chiedeva protezione, sicurezza ma la paura della punizione e di essere abbandonati rimane  un problema anche dopo la loro morte, in quanto la società stessa si serve degli stessi meccanismi di condanne ed emarginazioni. Il bisogno di protezione è impellente in ogni piccolo di ogni specie, il miagolio disperato di un micino che cerca la madre o il pigolio sconsolato  di un pulcino riescono a coinvolgere emotivamente l’essere umano, come in risposta di un ricordo atavico animale  irresistibile. Quando si parla di “effetto cucciolo” ci si riferisce proprio al  bisogno di coccolare, al senso di tenerezza e dolcezza provato nel prendersi cura di un animaletto. Ma questa esigenza quanto può costare all’uomo! (non ci riferiamo a chi spende una fortuna per cani e gatti abbandonati ma in termini di ricatti psicologici mossi dai genitori ai figli). Nelle altre specie la protezione della prole ha il fine di preservare le generazioni, pensiamo a un elefantino nel gruppo , dove le femmine adulte a turno lo sorvegliano dagli attacchi dei leoni, lo osservano affinché non si smarrisca o cada in qualche pericolosa pozzanghera. Ricordiamoci ancora della  custodia della nidiata da parte di una coppia di anatre, di una lupa verso i cuccioli... essi trovano reale protezione e non ubbidiscono ai genitori per "paura" (con qualche eccezione nei primati, ma già ci avviciniamo all’uomo). Diversa è l'iper -protezione di un genitore che vuole il figlio sempre a sua disposizione, che lo obbliga a mangiare come fosse un tacchino  e a rimanere con lui per potergli trasferire addosso le proprie ansie. Il cucciolo in natura, quando è il momento, robusto a sufficienza dopo aver imparato le tecniche di sopravvivenza anche attraverso l'osservazione dei genitori, viene lasciato da loro alla sua indipendenza.

L’uomo ha sviluppato forme innaturali di oppressione cominciando dai figli, devianze frequenti: i genitori come "capi"  tengono sottomessi i figli  in un regime di terrore, quasi debbano sentirsi in colpa per essere nati. Chi è convinto che il rispetto nasce dalla paura probabilmente ha vissuto l’infanzia tra sensi di colpa e paure di scatenare delle reazioni violente del genitore. Fortunato chi invece ha trovato la sicurezza interiore dal naturale  senso protettivo, mai invadente e solo occorrente. In quest’ultimo caso ci sono le condizioni affinchè si sviluppi l'espressione creativa e giocosa della socializzazione, nell’altra situazione coercitiva, la mancanza di un vissuto di libertà interiore porta al disprezzo della libertà nel sociale (aldilà delle finzioni politiche dove questa parola si sbandiera sempre anche per coprire la sua mancanza nel fatti). La paura causa una dissociazione emotiva ed intellettuale, da qui il bisogno dell'ordine, del capo,  di rassegnarsi alla causa stessa delle proprie insicurezze, a quel genitore "onnipotente" che a sua volta è stato distrutto nei suoi sentimenti e si è affidato all'obbedienza...

La genitorialità  è fondamentale per il bambino, ma spesso di essa è presente l'ombra negativa. Spesso si confonde per amore materno o paterno un controllo dei figli pari a quello di un contadino verso il suo bestiame:  lo si nutre,  si sorveglia perchè non scappi,  si controlla che non ci siano accoppiamenti indesiderati , si picchia se si ribella quando rivendica le sue pulsioni di una vita libera... Ci sono bambini che non hanno neppure avuto questo trattamento e nell'indifferenza totale sono caduti nell'autismo e nella schizofrenia.

                                                            dott. prof. Venturi Nazzareno

http://www.ansa.it/web/notizie/specializzati/saluteebenessere/2012/02/08/visualizza_new.html_76465185.html


Tra una riflessione e un commento, mi piace ricordare che non è MAI possibile giudicare nessuno, e  anche se alcune azioni possono sembrare assurde e dolorose per taluni, per altri rappresentano l’unica strada per raggiungere la Libertà.

Dedico questa mia a tutti coloro che quotidianamente “lottano” per sconfiggere il male che la loro sensibilità e la loro anima non riescono e non vogliono accettare.                           

 

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730 precompilato: opposizione alle spese universitarie fino al 21 marzo

Gli studenti che non vogliono far comparire le spese universitarie sostenute nel 2015 nella dichiarazione precompilata dei familiari di cui sono a carico possono comunicarlo all’Agenzia delle Entrate entro il prossimo 21 marzo. Per opporsi all’utilizzo dei dati, occorre scaricare dal sito www.agenziaentrate.it il modello allegato al provvedimento del 19 febbraio scorso (comunicazioni all’anagrafe tributaria dei dati relativi alle spese universitarie), compilarlo ed inviarlo, insieme a copia del documento di identità, all’indirizzo di posta elettronica Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. oppure via fax al numero 0650762273. A regime, invece, lo studente che non vuole far comparire le spese universitarie nella precompilata, potrà inviare il modello dal 2 gennaio al 28 febbraio dell’anno successivo a quello di riferimento.

Fonte: Agenzia delle Entrate

 

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INFORMATIVA FISCALE E PREVIDENZIALE

730/2016: le spese mediche non inserite sono quelle dei farmaci da banco

Il 25 gennaio scorso la direttrice dell’agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, nel corso di un convegno sulle novità fiscali e civilistiche del «Bilancio di esercizio 2015», ha colto l'occasione per ribadire che gli 8 giorni di mini-proroga (dal 1° al 9 febbraio) concessi alle associazioni di categoria e ai professionisti abilitati per l’invio delle informazioni sulle prestazioni sanitarie 2015 di pensionati e dipendenti, e che andranno ad arricchire i dati della nuova dichiarazione precompilata, non saranno ulteriormente prorogati. Il nuovo termine per l’invio dei dati delle spese mediche resta il 9 febbraio 2016. La direttrice delle Entrate ha poi precisato, con riguardo alla possibilità che nel nuovo 730 precompilato non siano inserite le spese farmaceutiche, che i dati non più in possesso dei farmacisti riguardano «esclusivamente i prodotti da banco senza prescrizione». Tutte le informazioni sui farmaci acquistati dai cittadini (e sono la maggioranza)con il “foglietto rosso” già sono nella piena disponibilità del sistema Tessera sanitaria.

Fonte: Il Sole 24 Ore

 

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