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OMESSI VERSAMENTI: NESSUNA SANZIONE IN CASO DI MANCATO INCASSO DI CREDITI

Fisco e Previdenza - Fisco

L’esimente dalle sanzioni nei casi di omessi versamenti per causa imputabile ai ritardati pagamenti della pubblica Amministrazione (e non solo) prende quota nelle Commissioni Tributarie. In un precedente intervento (Lo Stato paga in ritardo? Niente sanzioni sugli omessi versamenti) avevamo segnalato il caso della C.T.R. Roma, che aveva valorizzato tale principio per un’azienda che non aveva potuto versare le imposte alle naturali scadenze, pur vantando ingenti crediti verso l’A.S.P. locale. L’art. 5 del D. Lgs. 472/97 letto congiuntamente all’art. 6, comma 5, della L. 212/2000 relativo alle cause di non punibilità può portare all’esimente della non punibilità del soggetto che ha commesso il fatto per forza maggiore.

 

E la forza maggiore – per dirla con la C.T.R. Roma – é quell’ accadimento esterno e superiore al volere del soggetto che determina, in modo irresistibile ed inevitabile, il medesimo ad un’azione oppure ad un’omissione e la circolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 180/E del 10 luglio 1998 la definisce “ogni forza del mondo esterno che determina in modo inevitabile il comportamento del soggetto”.

Adesso la Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso, con la sentenza n. 179/1/13 del 10 dicembre 2013, si spinge oltre e concede la non applicazione di sanzioni al contribuente che dimostra il mancato incasso non soltanto di crediti verso la pubblica amministrazione ma anche verso i privati.

Nel caso trattato, la parte contribuente impugnava una cartella di pagamento con iscrizioni a ruolo per omesso versamento di imposte, contestando esclusivamente la non debenza di sanzioni. Assumeva che il ritardo nel pagamento dell’imposta fosse assolutamente incolpevole perché imputabile a forza maggiore, sì che, in applicazione degli artt.5 e 6, comma 5, D. Lgs. n.472/1997. Eccepiva quindi che la mancanza dell’elemento psicologico comportava l’esclusione dell’applicabilità sia delle sanzioni che degli interessi e del conseguente compenso di riscossione.

A sostegno del proprio assunto, la ricorrente precisava di svolgere attività di gestione, riparazione e manutenzione dell’impianto comunale di pubblica illuminazione per conto del Comune di Campobasso nonché, in subappalto, lavori di pubblica illuminazione con imprese appaltatrici dello stesso Comune. Aggiungeva che, nonostante i vari e documentati solleciti, il Comune di Campobasso non aveva mai rispettato le scadenze previste, sì che i notevoli ritardi nei pagamenti (fino a 8 mesi) l’avevano costretta, a scontare le fatture presso le banche, con notevoli aggravi economici. Documentava quindi che i detti inadempimenti avevano comportato indebitamento verso banche, fornitori ed anche verso i dipendenti per varie centinaia di migliaia di euro, nonché verso lo stesso erario (con il quale aveva in corso numerose rateizzazioni), costringendola anche a licenziamenti del personale.

Il Comune di Campobasso osservava che la ricorrente svolgeva la propria attività per pubbliche amministrazioni solo per il 60% della clientela mentre per il restante 40% si trattava di privati, onde l’inadempimento della sola Amministrazione Comunale non giustificava la situazione di illiquidità.

La C.T.P. di Campobasso ha accolto il ricorso della parte contribuente sulla scorta della puntuale dimostrazione in giudizio dei ritardi di pagamento della P.A nonché sull’ulteriore circostanza, documentalmente provata, che anche per l’attività svolta in regime di subappalto per imprese private (appaltatrici del Comune) la ricorrente doveva ancora percepire importi rilevanti.

I giudici hanno quindi applicato il principio di cui all’art.5, comma 1, del D.Lgs. n.472/97, laddove afferma che per la responsabilità nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa. La legge richiede quindi non solo che il soggetto abbia agito con coscienza e volontà, ovvero essendo pienamente capace e rendendosi conto dell’azione che compie, ma anche che egli sia colpevole, ovvero che gli si possa rimproverare un comportamento doloso o, quantomeno, negligente.

Nella fattispecie in esame la ricorrente ha ampiamente dimostrato che l’omesso pagamento del tributo è stato provocato dai ripetuti ritardati pagamenti delle somme ad essa dovute non solo dal Comune di Campobasso, ma anche da altri soggetti privati che agivano quali appaltatori del Comune predetto. Ha altresì dimostrato la propria assenza di colpa, ovvero di avere fatto uso della ordinaria diligenza per rimuovere l’ostacolo frapposto all’esatto adempimento delle obbligazioni.

La parte contribuente infatti ha dimostrato di avere sollecitato in più occasioni i pagamenti che le erano dovuti, sopportando evidenti notevoli perdite economiche dovendo infine richiedere un mutuo in banca per far fronte ai debiti nei confronti di fornitori e dipendenti.

Si tratta di una pronuncia importante adeguatamente sollecitata da un ricorso tributario che – contestando soltanto le sanzioni e nulla osservando sugli omessi versamenti di somme dovute – ha “costretto” l’organo giudicante a soffermarsi sull’unico motivo di doglianza, adeguatamente supportato da argomentazioni e prove.