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Associazioni Sportive Dilettantistiche

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AGEVOLAZIONI FISCALI INCOMPATIBILI NEI CIRCOLI PRIVATI CON ACCESSO INDISTINTO

Una delle problematiche che interessa i circoli privati è quella del trattamento da riservare all’attività di somministrazione di alimenti e bevande che viene realizzata nei locali dei circoli e che in moltissimi casi viene “offerta” anche a sovventori che non rivestono la qualifica di soci.

Il tema è stato analizzato dal Ministero dello Sviluppo Economico con la Nota prot. n.0131684 del 18 luglio 2014, dando conto della risposta pervenuta dal Ministero dell’Interno in relazione al dubbio riguardante la possibilità di coesistenza nello stesso locale di un circolo privato di un’attività di somministrazione riservata ai soli soci e di una rivolta al pubblico indistinto con diverso regime fiscale rispetto alla prima.

La vicenda trae origine da un quesito che un Comune ha posto in relazione ad una associazione sportiva dilettantistica, abilitata alla somministrazione di alimenti e bevande ai propri soci ai sensi del d.P.R. n.235/01, che ha chiesto alla Camera di Commercio competente l’iscrizione per attività principale di “club sportivi” e secondaria di “circolo privato con somministrazione al pubblico, anche a terzi non associati, di alimenti e bevande”. Nella domanda di iscrizione l’associazione sportiva precisava che “solo qualora la consumazione fosse stata effettuata da un cliente socio dell’associazione non sarebbe stato rilasciato lo scontrino o la ricevuta fiscale”.

 

 

 

 

 

Il primo importante chiarimento contenuto nella nota in commento riguarda la normativa di riferimento. Viene infatti evidenziato che ai sensi della vigente legislazione del commercio il possesso dei requisiti professionali previsti dal comma 6 dell’articolo 71 del d.lgs. n.59 del 26.03.2010, rubricato “Requisiti di accesso e di esercizio delle attività commerciali”, non è richiesto solo nel caso in cui l’attività di somministrazione di alimenti e bevande sia riservata ai soci dell’associazione privata “in via esclusiva”.

E’ quindi l’esclusività dei destinatari della predetta attività che giustifica l’applicazione della disciplina agevolata.

Qualora l’associazione sportiva dilettantistica intenda esercitare anche un’attività di tipo imprenditoriale, precisa la nota, non potrà esimersi dall’osservare le più stringenti disposizioni autorizzative imposte dalla normativa di settore (che prevede, oltre che al possesso dei requisiti professionali, anche quelli di onorabilità).

Fatte queste doverose considerazioni, il Ministero dello Sviluppo Economico entra nel merito nella fattispecie in precedenza descritta, chiarendo altresì che ai sensi della vigente disciplina del commercio, pur non rinvenendosi specifiche disposizioni che vietano la coesistenza delle due diverse attività, in quanto trattasi di attività commerciale vera e propria, non possono trovare applicazione le agevolazioni amministrative e fiscali previste per i circoli privati che effettuano la somministrazione di alimenti e bevande in forma non commerciale ai soli soci.

Risolta, tuttavia, la questione amministrativa in termini generali da parte del Ministero, sono altre due le questioni che la nota in commento pone all’attenzione: l’esatta individuazione dei risvolti fiscali di una situazione che vede la coesistenza (si potrebbe dire contemporaneità) di due attività, una “istituzionale” rivolta ai soli soci dell’associazione e l’altra di natura imprenditoriale rivolta quindi a terzi, e, l’altra, che affronta il tema della “sorvegliabilità” dei locali.

Per il primo tema la nota precisa che la questione è stata sottoposta all’attenzione del Dicastero dell’Economia e delle Finanze, al quale quindi si farà rinvio per le dovute determinazioni; per il secondo tema già si esprime il Ministero dell’Interno affermando che “più che di coesistenza di diverse attività nello stesso locale, pare doversi parlare di una medesima attività (la somministrazione di alimenti e bevande) che si pretenderebbe di esercitare volta a volta a titolo commerciale o associativo, a seconda degli avventori, se soci del circolo o meno”.

Lo stesso Ministero prosegue, anticipando anche considerazioni di carattere fiscale, per precisare che la “affermata coesistenza si tradurrebbe in una sostanziale doppia natura del medesimo esercizio, che il titolare potrebbe facilmente gestire a suo vantaggio e secondo il suo interesse, rendendo problematici i controlli di polizia amministrativa e tributaria non solo con riguardo agli obblighi fiscali, ma anche rispetto ad obblighi di altra natura, ad esempio, quelli di orari di apertura di pubblici esercizi”.

Ed è quindi proprio l’impossibilità di esercitare un’adeguata sorveglianza dei locali che secondo il Ministero dell’Interno determina una manifesta incompatibilità della richiamata “coesistenza” di situazioni con l’ordinamento vigente.

Ciò in quanto l’articolo 4 del decreto ministeriale n.564 del 17 dicembre 1992 (Regolamento concernente i criteri di sorvegliabilità dei locali adibiti a pubblici esercizi per la somministrazione di alimenti e bevande), nello specificare le caratteristiche dei locali adibiti alla somministrazione di alimenti e bevande annessi a circoli privati, precisa che:

  • i locali di circoli privati o di enti in cui si somministrano alimenti o bevande devono essere ubicati all'interno della struttura adibita a sede del circolo o dell'ente collettivo e non devono avere accesso diretto da strade, piazze o altri luoghi pubblici;
  • all'esterno della struttura non possono essere apposte insegne, targhe o altre indicazioni che pubblicizzino le attività di somministrazione esercitate all'interno.

In attesa che su tale tema si pronunci anche il Ministero dell’Economia e delle Finanze, come evidenziato dalla nota in commento, va comunque ricordato che è principio oramai consolidato il fatto che la gestione di un bar da parte di un ente non commerciale sia da considerarsi ai fini fiscali quale attività commerciale.

E’ questo l’orientamento pressoché unanime sposato dalla Corte di Cassazione la quale, con numerose sentenze susseguitesi nel corso dell’ultimo decennio (si richiama per tutte la sentenza n. 25462 del 20 ottobre 2008), ha ribadito indissolubilmente tale principio.

Fa eccezione, in virtù di una deroga che in ogni caso deve interpretarsi in modo molto restrittivo, la particolare tipologia di enti di tipo associativo rappresentata dalle associazioni di promozione sociale che, in virtù del combinato disposto dell’art.148 del TUIR e dell’art.4 del DPR 633/72, considerano ininfluenti ai fini fiscali (sia IVA che redditi) le somme ricavate dallo svolgimento dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande nei confronti dei propri soci.

Con la circolare n. 124/E del 12 maggio 1998, l’amministrazione finanziaria ha chiarito l’ambito di applicazione di tale norma definendo le associazioni di promozione sociale come quelle associazioni che promuovono la solidarietà e il volontariato nonché l’aggregazione sociale attraverso lo svolgimento di attività culturali e sportive, al fine di innalzare la qualità della vita, come per esempio ACLI ed ARCI. Per tali tipologie di associazioni viene sancita la non commercialità dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande al verificarsi delle seguenti tre condizioni:

  1. l'attività deve essere effettuata da bar ed esercizi similari presso le sedi in cui viene svolta l'attività istituzionale;
  2. l'attività deve essere svolta nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti anche di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un'unica organizzazione locale o nazionale e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali;
  3. deve trattarsi di attività strettamente complementare a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali.

Secondo l’amministrazione finanziaria, infine, (si veda la R.M. n.217/E del 17 luglio 1995) l’espressa previsione di non commercialità per le somministrazione di alimenti e bevande effettuata da bar o servizi similari interni all'associazione, con riferimento alle sole associazioni di promozione sociale, fa ritenere che nei confronti di tutti gli altri enti di tipo associativo l'attività di somministrazione di alimenti o bevande nei bar interni ai circoli ricreativi, anche se svolta nei confronti dei propri associati, abbia carattere commerciale.

 


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