Ogni mese i lavoratori dipendenti devono destinare più del 40% del loro salario alla costruzione di una pensione per la vecchiaia.
Tutti soldi rinunciati in busta paga. Una pensione che a mala pena raggiungerà il 65% dell’ultima paga, a patto che in essa venga investito pure tutto il tfr rinunciando alla buonuscita.
E la situazione è destinata a peggiorare La programmata revisione dei coefficienti, infatti, porterà un’ulteriore riduzione del futuro assegno pensionistico, in misura variabile tra il 6 e l’8%. Insomma, la pensione difficilmente raggiungerà il 60% dell’ultimo stipendio. A meno che non si sia disposti a erodere una ulteriore parte dello proprio stipendio.
Ma quanto costa farsi la pensione? Una prima quota di pensione è quella garantita dall’Inps o dall’Inpdap, cioè la pensione pubblica. I lavoratori dipendenti, ad esempio, destinano il 33% della loro retribuzione mensile; il 24% lo versa l’azienda a titolo di contribuzione, il restante 9% ce lo mette direttamente il lavoratore. La seconda quota di pensione, per chi opterà o già ha optato per aderire alla previdenza integrativa, è quella privata.
Il tfr è pari al 6,90% della retribuzione; i contributi si aggirano intorno al 2%, sia per i lavoratori che per le aziende. Complessivamente, dunque, l’investimento costa un altro 10,9% della retribuzione. Complessivamente, dunque, i lavoratori destinano, mensilmente, alla pensione più del 40% della loro retribuzione.
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