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Verifiche fiscali e permanenza

Fisco e Previdenza - Fisco

Il termine di permanenza degli operatori civili o militari dell'amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente, a seguito di verifiche fiscali, è da considerarsi ordinatorio in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga eventuale permanenza degli agenti dell'Amministrazione. In ogni caso, ai fini del calcolo del termine di cui al comma 5 dell'articolo 12 dello Statuto del contribuente, vanno considerati “i giorni di effettiva presenza” presso la sede contribuente.

L'articolo 12, comma 5, della legge 212/2000 (Statuto del contribuente) stabilisce, al primo periodo, che “La permanenza degli operatori civili o militari dell'amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell'indagine individuati e motivati dal dirigente dell'ufficio”. Per il calcolo di tale termine bisogna considerare i soli giorni di effettiva presenza dei verificatori presso la sede del contribuente e non i giorni trascorsi tra l'inizio e la fine delle operazioni di verifica, computando quindi anche quelli impiegati per verifiche eseguite al di fuori di detta sede.

Inoltre tale termine va considerato meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo definisce perentorio né la perentorietà può desumersi dalla ratio della norma che altrimenti farebbe discendere una sanzione sproporzionata (la nullità del successivo avviso di accertamento) rispetto al mero disagio al contribuente causato dalla più lunga permanenza dei verificatori presso la sua sede.

E' questo il principio che si desume dalla pronuncia della Cassazione n. 24690 dello scorso 20 novembre (non a caso resa in forma di ordinanza), conforme alla posizione espressa dall'Amministrazione finanziaria ed avallata da altre pronunce della giurisprudenza di legittimità.

La vicenda processuale

La CTR di Perugia, nel rigettare l'appello dell'Agenzia delle Entrate, annullava un avviso di accertamento relativo al 2004 ritenendo che il superamento del termine di trenta giorni della verifica presso la sede aziendale (previsto dall'art. 12, comma 5 della legge n. 212 del 2000), dato incontestato, avesse determinato la nullità della verifica stessa e del conseguente atto impositivo.

Col successivo ricorso per Cassazione l'Agenzia delle entrate denunciava la violazione del suindicato articolo 12, in quanto lo stesso prevede un termine di permanenza dei verificatori presso la sede aziendale e non di durata della procedura di verifica: nel caso specifico, come si evinceva dai processi verbali giornalieri prodotti in giudizio, l'effettiva permanenza dei verificatori presso l'azienda si era limitata a soli 9 giorni, rendendo non necessaria neppure l'autorizzazione alla proroga.

La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso manifestamente fondato e, per l'effetto, ha cassato la sentenza della Ctr con rinvio ad altra sezione della stessa.

In particolare, in adesione all'orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, la pronuncia in commento ha ricordato che “ln tema di verifiche tributarie, il termine di permanenza degli operatori civili o militari dell'Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso, né la nullità di tali atti può ricavarsi dalla "ratio" delle disposizioni in materia, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell'Amministrazione ” (cfr. ex multis , Cass. n. 11183 del 2014, n. 17002 del 2012, n. 14020 del 2011).

L'orientamento della Cassazione si basa quindi non solo su un'interpretazione letterale, ma anche basata sulla ratio della disposizione e sul corretto bilanciamento dei valori in contrapposizione.

Da un punto di vista sistematico, poi, viene sottolineato come lo Statuto del contribuente preveda diversi rimedi avverso le irregolarità compiute in sede di verifica tra cui la possibilità di formulare rilievi al verbale e di rivolgersi al Garante del contribuente il quale, qualora ravvisi gravi irregolarità, trasmette le relative segnalazioni ai titolari degli organi dirigenziali al fine di un eventuale avvio del procedimento disciplinare (art. 13 della legge n. 212 del 2000; cfr. Cass. n. 19338 del 2011).

Ulteriori osservazioni

L'art. 12, comma 5, della Legge n. 212/2000, nella sua originaria formulazione, stabiliva ai periodi primo e secondo che “La permanenza degli operatori civili o militari dell'amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell'indagine individuati e motivati dal dirigente dell'ufficio. Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell'ufficio, per specifiche ragioni”.

Nelle controversie in cui si discute della violazione di tale disposizione vengono in rilievo essenzialmente due questioni sollevate dai contribuenti:

  1. una relativa al calcolo del termine di permanenza dei verificatori che i contribuenti ritengono vada effettuato sulla base dei giorni complessivamente trascorsi tra l'inizio e la fine delle operazioni di verifica;
  2. l'altra relativa all'inutilizzabilità dei dati e delle prove raccolte in conseguenza del mancato rispetto del suddetto termine.

In merito alla prima questione l'Amministrazione finanziaria, con circolare n. 64/E del 27 giugno 2001, ha chiarito che “ai fini del computo dei giorni di permanenza di cui al comma 5 del citato art. 12, vanno considerati i giorni di effettiva presenza presso il contribuente a decorrere dalla data di accesso”. La tesi dei contribuenti è che ai fini del computo vadano considerati tutti i giorni trascorsi dall'inizio alla fine della verifica, indipendentemente da come e dove la stessa sia stata condotta.

La Cassazione ha optato sostanzialmente per la prima tesi: con la sentenza n. 23595 del 2011 ha infatti precisato che “ la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 5 […] , nel fissare agli "operatori civili o militari dell'amministrazione finanziaria" il termine ("prorogabile per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell'indagine individuati e motivati dal dirigente dell'ufficio") di "trenta giorni lavorativi", regola unicamente la "permanenza" degli stessi "presso la sede del contribuente" quando "dovuta a verifiche": il termine in questione, quindi, assume rilevanza sol a seguito della somma dei "giorni lavorativi" di effettiva "permanenza ... presso la sede del contribuente"; il computo dello stesso, pertanto, diversamente da quanto ritenuto dai contribuenti (che si sono limitati a indicare la prima e l'ultima data del PVC), non può essere compiuto soltanto sulla base dei giorni trascorsi tra l'inizio e la fine delle operazioni di verifica, computando quindi anche quelli impiegati per verifiche eseguite al di fuori della “sede del contribuente” .

In altri termini rilevano solamente i giorni di effettiva permanenza dei verificatori presso la sede del contribuente in virtù del disagio arrecato all'ordinaria attività dello stesso.

La disposizione in esame è stata oggetto di recente modifica ad opera dell'art. 7, comma 2, lett. c) del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (noto come Decreto Sviluppo), convertito con modifiche dalla legge 12 luglio 2011, n. 106. La norma di modifica, nel confermare l'orientamento della prassi e della giurisprudenza, ha aggiunto i due seguenti periodi al citato art. 12, comma 5: “ Il periodo di permanenza presso la sede del contribuente di cui al primo periodo, così come l'eventuale proroga ivi prevista, non può essere superiore a quindici giorni lavorativi contenuti nell'arco di non più di un trimestre, in tutti i casi in cui la verifica sia svolta presso la sede di imprese in contabilità semplificata e lavoratori autonomi. In entrambi i casi, ai fini del computo dei giorni lavorativi, devono essere considerati i giorni di effettiva presenza degli operatori civili o militari dell'Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente ”. 

A parere dei contribuenti la nozione di “ giorni effettiva presenza ” valida per il computo dei giorni di permanenza dei verificatori presso la sede del contribuente, troverebbe applicazione soltanto con riferimento alle verifiche effettuate nei confronti delle imprese minori e dei lavoratori autonomi (per i quali è previsto il limite di 15 giorni nell'arco di tre mesi). Secondo questa tesi, la locuzione “ in entrambi i casi ” farebbe riferimento esclusivamente alle imprese “minori” e ai lavoratori autonomi per cui solo per tali categorie di contribuenti rileverebbero i giorni di effettiva presenza. Di contro, per le società in contabilità ordinaria, il limite di permanenza di trenta giorni deve essere inteso come riferito a giorni lavorativi consecutivi a decorrere da quello di accesso, prescindendo dai giorni di presenza effettiva dei verificatori presso la sede del contribuente.

In realtà l'accoglimento di tale impostazione mal si concilierebbe con i principi di buon andamento ed efficacia dell'azione amministrativa, ex art. 97 della Costituzione, posto che il legislatore ha previsto termini diversi evidentemente in funzione della presumibile maggiore complessità delle operazioni di controllo nei confronti dei contribuenti di maggiori dimensioni. Infatti da tale interpretazione deriverebbe che la permanenza dei verificatori presso i contribuenti “minori”, per i quali si introduce un termine dimezzato (da 30 a 15 gg), può protrarsi fino ad un trimestre; diversamente nel caso dei soggetti di maggiori dimensioni – per i quali rileverebbero i giorni di durata complessiva delle operazioni di verifica – anche in caso di proroga, la permanenza dei verificatori non potrebbe protrarsi oltre un periodo massimo di sessanta giorni; il tutto con effetti irragionevoli e contrari alla ratio della disposizione.

In ogni caso quello del termine di permanenza rischia di diventare un falso problema visto il recente orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui il tempo massimo previsto per la durata delle verifiche fiscali ha natura meramente ordinatoria, in quanto nessuna norma lo dichiara espressamente perentorio. Pertanto, gli atti compiuti dopo il decorso di tale termine sono pienamente legittimi.

A giudizio della suprema Corte, il termine di permanenza presso la sede del contribuente ha natura meramente ordinatoria “ in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso, né la nullità di tali atti può ricavarsi dalla “ratio” delle disposizioni in materia potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell'Amministrazione ” (cfr. Cass. n. 26732 del 2013 e in senso conforme n. 17002 del 2012 e n. 14020 del 2011).

Ne deriva, pertanto, che il mancato rispetto dei termini previsti dall'articolo 12 dello Statuto del contribuente non può determinare la nullità degli atti successivi, quali l'avviso di accertamento o il prodromico processo verbale di constatazione. Del resto tale conclusione appare legittimata anche dal bilanciamento dei contrapposti interessi: se così non fosse, si legittimerebbe il venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del semplice disagio arrecato al contribuente dalla più lunga (cfr. sul punto, Cass. n. 17010 del 2013).

Alcune commissioni di merito hanno ritenuto di far discendere dal superamento del termine di permanenza (qualunque esso sia) l'inutilizzabilità del materiale probatorio raccolto “fuori tempo massimo”.

Ad esempio nella sentenza del 4 maggio 2004, n. 238, la Ctp di Catania ha evidenziato che “ogni elemento raccolto, dagli operatori della Guardia di finanza o degli uffici impositori, oltre il limite temporale di giorni trenta prorogabili di altri trenta giorni con provvedimento motivato, è frutto di attività posta in essere in violazione della norma espressa. La conseguenza di questa violazione, anche se non comminata espressamente, è l'inutilizzabilità degli elementi di prova raccolti oltre il limite fissato dall'art. 12, comma 5” . Nello stesso senso, di recente la Ctp di Bari del 2 novembre 2011, n. 148 ha affermato che «gli elementi raccolti dagli operatori oltre tale limite sono frutto di attività posta in essere in violazione di legge» . I documenti provenienti da attività illegittime quindi sarebbero inutilizzabili e tale inutilizzabilità non abbisognerebbe di una espressa disposizione sanzionatoria, derivando dalla regola generale, secondo cui l'assenza del presupposto di un procedimento amministrativo, infirma tutti gli atti nei quali si articola. In senso contrario, la Ctr di Roma, con sentenza n. 122 del 15 luglio 2009, ha affermato che il mancato rispetto del termine di cui all'art. 12 della legge n. 212/2000 non può inficiare un atto di accertamento, salvo che non sia venuta a mancare, in modo irrimediabile, una garanzia posta dalla legge a difesa dei contribuenti.

La giurisprudenza di legittimità si è invece attestata sulla posizione opposta: a partire dalla sentenza n. 8344 del 2001 la Cassazione ha ribadito che “ Gli organi di controllo possono utilizzare tutti i documenti dei quali siano venuti in possesso, salvo la verifica della attendibilità, in considerazione dalla natura e del contenuto dei documenti stessi, e dei limiti di utilizzabilità derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico. La violazione delle regole dell'accertamento tributario non comporta come conseguenza necessaria la inutilizzabilità degli elementi acquisiti. Si pensi al caso in cui, nel corso di una verifica fiscale, vengano acquisiti elementi determinanti ai fini dell'accertamento, soltanto il trentunesimo (o sessantunesimo) giorno lavorativo dall'inizio della verifica stessa, in violazione del precetto di cui all'art. 12, comma 5, della L. 27 luglio 2000, n. 212. Non esiste, cioè, nell'ordinamento tributario un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite. Tale principio è stato introdotto nel "nuovo" codice di procedura penale, e vale, ovviamente, soltanto all'interno di tale specifico sistema procedurale (vd. art. 191 del codice di procedura penale). L'acquisizione irrituale di elementi rilevanti ai fini dell'accertamento fiscale non comporta la inutilizzabilità degli stessi in mancanza di una specifica previsione in tal senso ” (in senso conforme si vedano Cass. n. 1383 del 2002, n. 1543, 4987 e 8273 del 2003 e più recentemente n. 19338 del 2011).

 

 

 

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